Pillole di storia - Dai porti dell’ antichità al Porto Franco di Trieste, il famoso e rinomato Porto Franco di Trieste
Già prima dei romani ci doveva essere una specie di porticciolo per pescatori la cui tracce sono rimaste sotto gli interramenti e costruzioni portuali successive. Del porto romano i manufatti apparivano con le basse maree fino all’epoca di Carlo VI. Ireneo della Croce ne parla di 2 moli fatti di blocchi ci pietra, uno curvato e l’altro di almeno 180 passi verso l’attuale Riva Grumola. Quello curvo chiudeva il mare fino allo scoglio dello Zucco oggi base solida della lanterna. Il tutto era in zona Sacchetta/Campo Marzio per i non triestini, perché più riparata dalle onde. Il bacino si estendeva ovviamente dietro P.za Grande fino al Teatro Romano. I blocchi di pietra vennero interrati con le diverse conquiste di superficie marina usando pietre del carso. Le colline mollemente scendenti al mare dei romani divennero le erte colline attuali. Circa Kq 20 di mare vennero interrati fino al 1880/90. C’erano porticcioli a Duino, Sistiana, S.Giovanni al Timavo, S. croce, Grignano, Cedas, S.Andrea, “Broglietto”, sotto Servola stava Fullonica di S. Sabba, S. Clemente alle Noghere, Muggia, Salvore. Le saline erano a ridosso del Mandracchio fino alla costituzione della Compagnia Orientale. Il mare non raggiungeva più la Portizza.
Nel 1371 si scrisse del Castello a Marina che aveva una torre ad angolo con la pescheria posto sopra il molo…..
Negli Statuti del 1550 si parla di una “bocca del porto” che forse poteva essere l’ingresso allo scoglio del Zucco. Questi lavori erano pressati dalla paura che Venezia potesse ritornare prima della loro fine e trovare la città priva delle difese a mare necessarie per contrastarla. Già nel 1594 ci sono preoccupazioni per la mancanza di difese del colle di S.Vito sempre in previsione dell’arroganza e violenza di Venezia per prendersi le saline. Di ciò esiste una carta che si trova nell’Archivio di Stato di Graz. Nel 1602 c’erano 2 torri di guardi all’ ingresso del porto. Nel 1620 si vedevano ancora i resti del molo romano che dava sullo scoglio Zucco sul quale stava un faro o quanto meno una lanterna. Nella pianta del Pierono del 1639 appaiono i 2 moli, quello del sale e quello della pescheria. Moli riportati anche nel 1698 dal padre Ireneo della Croce che spiega la posizione di uno di questi puntata verso l’attuale Riva Grumula della lunghezza di 180 passi.. Comunque in caso di Bora o Ostro le imbarcazioni correvano seri pericoli, pertanto pare venisse usato da medi/piccoli natanti.
Scavi fatti per la costruzione dei palazzi dietro l’attuale P.za Grande misero alla luce dei blocchi enormi di pietra fino alla Via Dante passando per il Teatro Romano. Il Kandler si affezionò a queste scoperte tanto da fargli dire che sulla colonna di Traiano a Roma c’erano le immagini del porto di Tergeste. Affermazione senza troppe speranze di certezza. Ma Apollodoro di Damasco offre una immagine degli impianti portuali romani che sono tutti secondo uno standard ben fissato.
Il mare entrava ancora fino alla Portizza. Poi c’erano le saline. La sabbia e la ghiaina per le costruzioni e per il castello di S.Giusto provenivano dal fondo marino. Con questi scavi si era scavato in profondità nel golfo tanto che si costruì il Mandracchio. Successivamente alle sue spalle al posto di una fila di saline si costruì lo Squero della Compagnia Orientale. Il Pallavicini costruì le prime difese “moderne” del porto. E’ del 1737 un resoconto che spiega i tracciati lineari delle future strade che dal Lazzaretto vecchio dovevano salire a S.Vito e in Sansa per potervi portare i cannoni di difesa.
Lungo tutta la costa si trovavano ripari per le imbarcazioni come al Timavo, a Santa Croce, Grignano, Cedas, S.Andrea, “Broglietto”, sotto Servola a Fullonica di S. Sabba, S. Clemente alle Noghere, Muggia e Salvore come descrive il Degrassi nelle sue ricerche.
Nel ‘400 appare il primo Mandracchio che si evidenzia nella sua compitezza nella carta dello Stier del 1660 che verrà copiato fino all’ interramento per la costruzione del cantiere navale della Compagnia Orientale come è evidenziato dalle mappe del Kriegsarchiv di Vienna.
Fino ad allora il mare arrivava fino in Portizza.
Nel 1371 si dice “ che il Castello a Marina sarà costruito con torre quadrata all’ angolo con la pescheria
Negli Statuti del 1550 troviamo una “bocca di porto” che si potrebbe identificare con il varco dello Scoglio di Zucco. Le opere di rinforzo ed ampliamento delle difese a mare prosegue a ritmo serrato per paura delle scorrerie di Venezia.
Nel 1594 Pietro di Strassoldo pianifica le difese data l’inadeguatezza del castello di S. Giusto centrando l’obbiettivo sul Colle di S. Vito che rimaneva scoperto da difese valide e quindi offriva un facile accesso a truppe sbarcate sulla riva sottostante. La città aveva un fianco sguarnito.
Un frate benedettino D. Fortunato Olmo lascia le sue impressioni del nostro golfo negli archivi di Venezia. Siamo circa nel 1620. Trova il porto piccolino adatto solo per natanti medio/piccoli. Nota le saline che servono il Hinterland anche con abbondanza di olio e vino oltre che di sale. Evidenzia grandi massi detti zucchi dai locali che probabilmente erano i resti del molo romano. Poi c’è il promontorio detto “Comartio”, ( il campo di Marte dei romani ).
Nel 1602 si scopre che i militari addetti alla difesa erano 484 e 2 erano le torri di guardia del porto. Pare che in quel secolo iniziassero gli scavi per abbassare il fondale marino e che il materiale estratto venisse portato dove oggi sorge il Museo Lapidario a S. Giusto.
I secolari problemi del nostro porto dal medio evo in qua erano le mareggiate di libeccio e la bora. In ambedue casi le imbarcazioni, anche quelle più grandi per l’epoca venivano sbattute contro il molo e le rive, oppure spinte in mare aperto e disalberate dalla bora.
Di dighe neanche a parlarne. Come si poteva costruire una diga con un pescaggio di oltre 18 metri? Impensabile. Si dovette attendere i primi del ‘700 quando con Carlo VI si iniziò a riempire le saline, ovvero i 267 cavedini di sale che costituivano da sempre la ricchezza della città ma al contempo erano dispensatrici di maleodoranti profumi e di infezioni stante il proliferare di ogni genere di insetto. Fu così che aprì il canale grande, quello che vediamo oggi ma che era molto più lungo, fin oltre la chiesa di S.Antonio nuovo ovvero Taumaturgo. L’impianto cittadino doveva esser costruito come Amsterdam, su canali e non su strade. Alla sua morte nel 1740 gli subentrò sua figlia Maria Teresa che invece volle tutto il borgo su terra ferma. Gli isolati non dovevano superare la metà della lunghezza in Klafter di quelli di Vienna. Tutto il resto era ad libitum. ( 1 Klafter = 1,9 mt. ca. )
DAI PORTI DELL’ ANTICHITA’ AL PORTO FRANCO DI TRIESTE
Già prima dei romani ci doveva essere una specie di porticciolo per pescatori la cui tracce sono rimaste sotto gli interramenti e costruzioni portuali successive. Del porto romano i manufatti apparivano con le basse maree fino all’epoca di Carlo VI. Ireneo della Croce ne parla di 2 moli fatti di blocchi ci pietra, uno curvato e l’altro di almeno 180 passi verso l’attuale Riva Grumola. Quello curvo chiudeva il mare fino allo scoglio dello Zucco oggi base solida della lanterna. Il tutto era in zona Sacchetta/Campo Marzio per i non triestini, perché più riparata dalle onde. Il bacino si estendeva ovviamente dietro P.za Grande fino al Teatro Romano. I blocchi di pietra vennero interrati con le diverse conquiste di superficie marina usando pietre del carso. Le colline mollemente scendenti al mare dei romani divennero le erte colline attuali. Circa Kq 20 di mare vennero interrati fino al 1880/90. C’erano porticcioli a Duino, Sistiana, S.Giovanni al Timavo, S. croce, Grignano, Cedas, S.Andrea, “Broglietto”, sotto Servola stava Fullonica di S. Sabba, S. Clemente alle Noghere, Muggia, Salvore. Le saline erano a ridosso del Mandracchio fino alla costituzione della Compagnia Orientale. Il mare non raggiungeva più la Portizza.
Nel 1371 si scrisse del Castello a Marina che aveva una torre ad angolo con la pescheria posto sopra il molo…..
Negli Statuti del 1550 si parla di una “bocca del porto” che forse poteva essere l’ingresso allo scoglio del Zucco. Questi lavori erano pressati dalla paura che Venezia potesse ritornare prima della loro fine e trovare la città priva delle difese a mare necessarie per contrastarla. Già nel 1594 ci sono preoccupazioni per la mancanza di difese del colle di S.Vito sempre in previsione dell’arroganza e violenza di Venezia per prendersi le saline. Di ciò esiste una carta che si trova nell’Archivio di Stato di Graz. Nel 1602 c’erano 2 torri di guardi all’ ingresso del porto. Nel 1620 si vedevano ancora i resti del molo romano che dava sullo scoglio Zucco sul quale stava un faro o quanto meno una lanterna. Nella pianta del Pierono del 1639 appaiono i 2 moli, quello del sale e quello della pescheria. Moli riportati anche nel 1698 dal padre Ireneo della Croce che spiega la posizione di uno di questi puntata verso l’attuale Riva Grumula della lunghezza di 180 passi.. Comunque in caso di Bora o Ostro le imbarcazioni correvano seri pericoli, pertanto pare venisse usato da medi/piccoli natanti.
Scavi fatti per la costruzione dei palazzi dietro l’attuale P.za Grande misero alla luce dei blocchi enormi di pietra fino alla Via Dante passando per il Teatro Romano. Il Kandler si affezionò a queste scoperte tanto da fargli dire che sulla colonna di Traiano a Roma c’erano le immagini del porto di Tergeste. Affermazione senza troppe speranze di certezza. Ma Apollodoro di Damasco offre una immagine degli impianti portuali romani che sono tutti secondo uno standard ben fissato.
Il mare entrava ancora fino alla Portizza. Poi c’erano le saline. La sabbia e la giarina per le costruzioni e per il castello di S.Giusto provenivano dal fondo marino. Con questi scavi si era scavato in profondità nel golfo tanto ch si costruì il Mandracchio. Successivamente alle sue spalle al posto di una fila di saline si costruì lo Squero della Compagnia Orientale. Il Pallavicini costruì le prime difese “moderne” del porto. E’ del 1737 un resoconto che spiega i tracciati lineari delle future strade che dal Lazzaretto vecchio dovevano salire a S.Vito e in Sansa per potervi portare i cannoni di difesa.
Lungo tutta la costa si trovavano ripari per le imbarcazioni come al Timavo, a Santa Croce, Grignano, Cedas, S.Andrea, “Broglietto”, sotto Servola a Fullonica di S. Sabba, S. Clemente alle Noghere, Muggia e Salvore come descrive il Degrassi nelle sue ricerche.
Nel ‘400 appare il primo Mandracchio che si evidenzia nella sua compitezza nella carta dello Stier del 1660 che verrà copiato fino all’ interramento per la costruzione del cantiere navale della Compagnia Orientale come è evidenziato dalle mappe del Kriegsarchiv di Vienna.
Fino ad allora il mare arrivava fino in Portizza.
Nel 1371 si dice “ che il Castello a Marina sarà costruito con torre quadrata all’ angolo con la pescheria
Negli Statuti del 1550 troviamo una “bocca di porto” che si potrebbe identificare con il varco dello Scoglio di Zucco. Le opere di rinforzo ed ampliamento delle difese a mare prosegue a ritmo serrato per paura delle scorrerie di Venezia.
Nel 1594 Pietro di Strassoldo pianifica le difese data l’inadeguatezza del castello di S. Giusto centrando l’obbiettivo sul Colle di S. Vito che rimaneva scoperto da difese valide e quindi offriva un facile accesso a truppe sbarcate sulla riva sottostante. La città aveva un fianco sguarnito.
Un frate benedettino D. Fortunato Olmo lascia le sue impressioni del nostro golfo negli archivi di Venezia. Siamo circa nel 1620. Trova il porto piccolino adatto solo per natanti medio/piccoli. Nota le saline che servono il Hinterland anche con abbondanza di olio e vino oltre che di sale. Evidenzia grandi massi detti zucchi dai locali che probabilmente erano i resti del molo romano. Poi c’è il promontorio detto “Comartio”, ( il campo di Marte dei romani ).
Nel 1602 si scopre che i militari addetti alla difesa erano 484 e 2 erano le torri di guardia del porto. Pare che in quel secolo iniziassero gli scavi per abbassare il fondale marino e che il materiale estratto venisse portato dove oggi sorge il Museo Lapidario a S. Giusto.
I secolari problemi del nostro porto dal medio evo in qua erano le mareggiate di libeccio e la bora. In ambedue casi le imbarcazioni, anche quelle più grandi per l’epoca venivano sbattute contro il molo e le rive, oppure spinte in mare aperto e disalberate dalla bora.
Di dighe neanche a parlarne. Come si poteva costruire una diga con un pescaggio di oltre 18 metri? Impensabile. Si dovette attendere i primi del ‘700 quando con Carlo VI si iniziò a riempire le saline, ovvero i 267 cavedini di sale che costituivano da sempre la ricchezza della città ma al contempo erano dispensatrici di maleodoranti profumi e di infezioni stante il proliferare di ogni genere di insetto. Fu così che aprì il canale grande, quello che vediamo oggi ma che era molto più lungo, fin oltre la chiesa di S.Antonio nuovo ovvero Taumaturgo. L’impianto cittadino doveva esser costruito come Amsterdam, su canali e non su strade. Alla sua morte nel 1740 gli subentrò sua figlia Maria Teresa che invece volle tutto il borgo su terra ferma. Gli isolati non dovevano superare la metà della lunghezza in Klafter di quelli di Vienna. Tutto il resto era ad libitum. ( 1 Klafter = 1,9 mt. ca. )
E’ del 1718 la carta geografica di Trieste con le saline che verrà presentata da Donadoni assieme ai maggiorenti della città a Carlo VI con la supplica per il Porto Franco.
I denari per le opere di interramento e la costruzione delle piattaforme per le fondamenta degli edifici a 2 piani vennero dal fondo di fiorini 20.000 annui donati dai commercianti a Maria Teresa che aveva sollevato i dazi sul sale. Altri F. 2.500 arrivarono dai dazi del Pesce e del Nocchiero.
I resoconti settimanali richiesti dall’imperatrice lavori al capitano civile e militare Francesco barone de Wiesenhutten vennero stampati assieme alle mappe che illustravano l’avanzamento dei lavori dal conte Nicolò Hamilton che si servì dei tipografi Joseph Zentz e Johan Thomas Trattner e Mattia Winckowitz.
Nel 1749 il lazzaretto viene spostato sull’altro lato del golfo circa dove oggi cì è il Circolo del pattinaggio dei ferrovieri.
In pari data si costruì un acquedotto e si aprì un ospitale per curare le malattie dovute alle acque putride e stagnanti delle saline. Vennero iniziati i lavori della costruzione del Canal Grande.
La prima piantina delle saline viene data dal Valvasor nel 1689 assieme agli argini ed al canale.
Si iniziarono le difese portuali con cannoni sul lato mare del molo della Lanterna e sopra il nuovo Lazzaretto in posizione di tenaglia. Nel 1775 c’erano già una serie di scali e di magazzini tra cui va ricordati quelli del lo Strohlendorf.
Tra il 1750 ed 80 le navi venivano costruite dallo Squero Odorico Panfili e il commercio s’era spostato in Borgo teresiano lungo il Canale dove attraccavano navi di imponente stazza lorda per l’epoca. Le case del nuovo borgo hanno un sistema quasi a raddoppio modulare, infatti lavoro e abitazione sono ospitati nello stesso edificio. Sorgeranno edifici lussuosi come il Palazzo Carciotti, quello dei Cassis e dei Murat, ecc.ecc.
Ma ancora non si parlava di dighe. Il Canale grande aveva un piccolo gemello: il Canal Piccolo che oggi è ricordato dalla strada che porta il suo nome. Era dedicato agli oli, ai vini, alla pece ed a ogni altro prodotto infiammabile. Si era fatta per prevenire incendi una netta distinzione tra prodotti secchi ed umidi e quelli infiammabili.
Il resto delle imbarcazioni rimanevano attraccate alle rive o all’ancora al largo e con le piccole imbarcazioni venivano scaricate o viceversa.
Nel 1748 con la nomina del barone de Flachenfeld a capitano della città ed Intendente Commerciale si iniziò a minare il potere del Patriziato.
Nel 1749 ancora Carlo VI introduce tra i compiti dell’Intendente Commerciale anche la vigilanza sui Consoli imperiali all’estero e su quelli stranieri residenti a Trieste. Impegno che dal 1758 divenne organico per il controllo dei Consoli Imperiali nel Levante e per quelli del Ponente.
Con risoluzione sovrana del 1776 venne abolita l’Intendenza e il Direttorio per il commercio su spinta del figlio Giuseppe II per attuare per bene il principio della divisione dei poteri introdotto da Maria Teresa. Dall’ Intendenza dipendevano gli Uffici preposti ai dazi, dogane, vigilanza sul porto e sulle malattie. La Risoluzione Sovrana del 1768 stabilì che a Trieste ci fossero 2 Lazzaretti, quello “sporco” e quello “netto” con a capo un priore ed un sotto-priore ciascuno più il personale addetto ai servizi e cure.
Al posto dell’Intendenza subentrava il Cesareo-Regio Governo del Litorale austriaco diretto da un Governatore scelto da Maria Teresa in persona. Il primo fu il conte de Zinzendorf.
Nel 1777 le statistiche del traffico portuale ci dicono che le imbarcazioni erano passate da 698 del 1753 ai 5.231 del 1777 di cui ben 14 con portata superiore alle tonn. 100;
- troviamo i primi progetti per una lanterna sullo scoglio dello Zucco seguiti da quelli per la sua fortezza militare a difesa del porto e della città.
– M.T. obbliga la municipalità ad estendere un accurato censimento della popolazione di Trieste
Si dovette arrivare a metà 800 quando le industrie e la lavorazione dei metalli andarono in auge. Si disponeva di materiale resistente e di macchinari a vapore che qualche decennio prima erano impensabili.
In Europa dopo il lavoro per il porto di Marsiglia gli ingegneri francesi che all’epoca erano rinomati si preparavano alla loro opera più ambiziosa, ovvero quel canale di Suez che si sarebbe rivelato fondamentale per i futuri traffici triestini. Il piano di Talabot, mirante a una trasformazione della rada di Trieste in un porto chiuso, fu in seguito modificato e trasformato in accordo alla volontà di Vienna, con l’intervento di un altro ingegnere francese, H. Pascal. Uomo ambizioso e pragmatico, Pascal si era formato come Ingegnere Capo dei Ponti e delle Strade di Marsiglia, divenendo in seguito Ispettore Generale di Francia. Il progetto Talabot-Pascal, elaborato tra il 1862 e il 1865, situava il “Porto Vecchio” nella rada a nord-est, tra il Lazzaretto di Santa Teresa e il molo del Sale. Cinque moli (quattro paralleli tra loro e uno obliquo chiamato poi Molo 0 “zero”) avrebbero permesso di posizionare hangar, magazzini e rotabili, con tre bacini aperti a ovest e una diga foranea di protezione distante dai moli mt.150 con un’apertura di accesso di 95 metri. Il tutto su un fronte di 1.200 metri.
Ci furono ben 13 progetti “alternativi” per il porto di Trieste dal 1856 al 1863. La cittadinanza si oppone con il Sindaco e la camera di Commercio a cui si aggiunse il console Britannico Richard Burton bollando la Sudbanhof come infiltrata da capitale francese. Il socialista Vivante è un altro oppositore accaniti perché il porto rappresenterebbe un omaggio potere del capitalismo Austrofrancese. La Giunta comunale uscente e quella entrante formata da Francesco Hermet, dall’ ing. Righetti e dal futuro podestà D’Angeli scrivono che il nuovo porto è totalmente non necessario in vista dell’apertura del Canale di Suez e che tra la Sacchetta, il Canal Grande ed il molo del sale ci sono strutture portuali valide per altre decine di anni. Una simile miopia forsennata non si era mai registrata in città. Chi manovrava contro? Per fortuna il Governo centrale era più lungimirante e le opere portuali vennero iniziate con gran soddisfazione della popolazione convertita dai numerosi posti di lavoro aperti da questa nuova istituzione che potò lavoro anche in città aumentando il benessere dei cittadini. L’inizio dei progetti è datato 1863 mentre la fine delle opere portuali sarà datata 19 dicembre 1883. Il progetto iniziale è del francese Talabot-Pascal ma i lavori verranno eseguiti sotto l’egida di Frederic Bo(e)mches. Con il molo petroli, dove si interrò una copia della relazione di tutti i lavori nell’Ultima Pietra deposta, verranno ultimati i lavori.
I triestini dell’antico “no se pol” scesero in piazza e dopo la messa domenicale andavano al liston nel cantiere del costruendo porto vecchio ancora agli albori dimostrando contrarietà per quell’opera moderna che avrebbe rovinato le loro passeggiate sul lungo mare. Le autorità da parte loro parlavano di sprechi di capitale e di opere inutili. Ci sono delle stampe che immortalano le dame triestine che passeggiano tra i materiali di costruzione ostentando indignazione e superiorità.
Con la benedizione dell’Imperatore Francesco Giuseppe (17 gennaio 1865) e 13 milioni e mezzo di fiorini stanziati dall’Austria, il piano Talabot-Pascal andò finalmente in porto (è proprio il caso di scriverlo), sotto la guida della KK. Priv. Sudbahn che aveva ultimato i suoi lavori nel 1857 collegando Trieste con Vienna. La compagnia ferroviaria si impegnò anche al reperimento e alla lavorazione delle materie prime, con l’apertura degli scavi nelle cave di pietra di Monfalcone e Sistiana. Infatti l’ Imperial-Regio Governo affidò alla Compagnia delle Ferrovie dell’Austria Meridionale l’amministrazione dei lavori del porto con una sovvenzione di Franchi 36.710.000. Il termine ultimo dei lavori era fissato al 1873, cinque anni dall’apertura. In realtà sarebbero seguiti ben venti anni di lavori e ampliamenti. Le prime ricognizioni del terreno scoprirono infatti un suolo fangoso e instabile, un fondo paludoso che solo a 15 – 20 metri di profondità diveniva solido. Si procedette all’uso di legami e calce idraulica nel tentativo di stabilizzare il terreno e procedere alle fondamenta per le banchine. Tuttavia la struttura tendeva a slittare nel mare e non si riusciva ad assestare saldamente i basamenti. Il problema era di non poco conto, una lotta costante contro l’elemento liquido, il mare. Dopo tre anni di defatiganti lavori (1868-1871), il dragaggio del fondale e lo spostamento dei 2 corsi d’acqua: i torrenti Marchesin e Klutsch, la sofferenza ebbe termine permettendo il transito ed attracco delle navi.
Sergio Lorenzutti