Porto Franco e la Turchia: PILLOLE DI STORIA
Pubblichiamo da Sergio Lorenzutti
Noi triestini quando parliamo del porto franco liquidiamo la faccenda con poche ma sentite parole. La sua storia invece è arzigogolata e sofferta per il rapporto conflittuale, ma amichevole solo per interessi commerciali con la Turchia, ovvero con la Sublime Porta che continuava a dominare parte dei Balcani, il Medio Oriente e l’Egitto. Quindi tutti i traffici con l’Asia.
I primi 40/60 anni di vita del porto franco furono di uno stentato sviluppo perché Carlo VI si era impelagato con la Sublime Porta con dazi al 3% che aumentarono al 5% in base alla provenienza delle merci, via mare o via terra. Il maggior porto turco era Salonicco dove confluivano tutte le merci dei Balcani e della Turchia, Smirne ne era il principale porto per l’Oriente dove confluivano i prodotti esotici del Medio Oriente e dell’Asia oltre che dall’Egitto. L’Austria importava molto più dalla Porta di quanto non esportasse. L’Austria considerava suoi sudditi quelli delle varie Nazioni che erano soggetti cristiani dell’Impero o di altre religioni riconosciute dallo stesso. Per i Turchi esisteva il documento che li riconosceva come sudditi mussulmani della Porta, era il “millet” che li codificava ufficialmente come tali. Ma era anche un documento, una specie di passaporto che li identificava in tutto il mondo. Con questo documento pagavano solo il 3% di dazio mentre i cristiani pagavano il 5%. Una discriminazione iniziata violando il Trattato di Passarowitz che delineava anche i rapporti commerciali tra i 2 imperi. Per superare il vincolo di detassazione del nostro porto questo dazio lo si doveva incassare al largo, in mare prima che la nave entrasse nelle acque del porto. Ma all’epoca vigevano una serie di patenti, permessi, guarentigie economiche emessi da vari nobili, uffici e finanche religiosi che permettevano di superare allegramente questi dazi. Un caos ripieno di corruzione degli ufficiali doganieri, immaginiamoci poi cosa non avveniva nella Sublime Porta.
Per non parlare delle merci di contrabbando e delle congreghe organizzate di contrabbandieri.
Ci furono dell’impennate di tasse fino al 26% sulle merci che arrivavano a Vienna via terra per controbilanciare le evasioni costanti. Erano limitate ai beni di lusso di allora: cotone, the e caffè e zucchero che i turchi comperavano a Marsiglia per poi venderlo a Trieste o da Salonicco e portarlo via terra a Vienna che lo smistava in Europa centrale.
Dopo i primi 20 anni di governo di M.T. le cose per il nostro porto si mettono a funzionare bene. In un decennio i traffici si moltiplicano per triplicarsi negli anni ’70 sempre del ‘700.
Carlo VI riscrive la parte economica del trattato economico di Passarowitz del 1718 nel ‘39 dopo la vittoria Austro-Russa sulla Turchia del 36/39 con la pace di Belgrado. Il tutto era complicato dalle varie nazionalità in gioco come i greci-turchi ed i turchi-greci e magari ambedue combinazioni con gli ebrei, cosa molto comune a Salonicco che era da sempre il porto di sbocco dei commerci balcanici sia in entrata che in uscita.
I primi ad arrivare a Trieste porto franco da Sinigallia e da Salonicco furono gli ebrei.
La questione dell’appartenenza ad un gruppo religioso diverso dal cristiano non era formalmente codificato né gestito fino a Federico II il quale nel 1630 con gli Statuta Valachorum riconobbe ai Serbi immigrati la libertà religiosa ed autonomia locale contro l’obbligo del servizio militare.
Nel 1691 Leopoldo I ( come imperatore ma VI della dinastia absburgica ) quello in P.za della Borsa, riconfermava la libertà di culto ai Serbi fuggiti dall’Impero Ottomano ed autonomia all’interno della comunità ed anche libertà di istruzione. Il tutto contenuto nel Diploma Leopoldinum.
Nel 1770 si aprirono anche a Trieste le liste di naturalizzazione: molti ebrei, greci e serbi residenti presero questa opportunità che alla fine permetteva loro di inserirsi a pieno titolo nel tessuto sociale cittadino.
Gli ottomani rimasero liberi nella loro “nazione o millet” di professare la loro religione ma sempre soggetti alla legge civile e penale dell’Impero. Va rimarcato che in Turchia non esisteva una legge civile e quindi un non mussulmano in Turchia godeva di maggior libertà di un turco nell’Impero Austriaco, .
Un bell’ esempio di questa mobilità e libertà di spostamento nell’Impero ci è data da una figura emblematica del tempo:
Jovan Miletic nato a Sarajevo da umile famiglia faceva il servo di bottega di un commerciante di pelli di pecora,capra, agnello, ecc. Giovane sveglio venne spedito dal padrone in giro per la Bosnia a cerar merce e mercati. Al rientro aveva accumulato una visione del mondo ed un’esperienza del mercato ben strutturate. Lascia il padrone e se ne va ramingo a Dubrovnik, Spalato, Ancona, Venezia e Trieste da dove proseguì per Vienna e Lipsia, la patria dei pellami, mercato secolare delle pelli russo-siberiane. Entrò in contatto con commercianti ebrei, cristiani, ortodossi e si fece una cultura vastissima delle necessità dei mercati europei che contavano. Rientrò a Sarajevo dove imperversava la peste che si portava via la mamma ed il fratello ma anche il suo padrone. Comperò cera, miele e pelli per venderle a Venezia e scappò subito lasciandosi la peste alle spalle. Finì la vita nel 1790 a Vienna e nel suo testamento lasciò una gradita sorpresa per i greci triestini.
Vediamo cosa diceva sto benedetto testamento.
-lasciava il giusto alla sua famiglia
- denari per i monasteri presso il Metropolitanato di Carlowitz ( Sremski Karlovci )
- una certa quantità di soldi al Monastero del Monte Athos
- e alla toma di Cristo a Gerusalemme
- ed alla chiesa ortodossa di Sarajevo
- infine la somma di F. 24.000 alla comunità serba di Trieste i cui interessi annui dovevano finanziare la scuola per i ragazzi poveri. La cifra era considerevole se la si compara con il salario annuo di un maestro, F. 300.
Ma cosa ne fecero di questi Fiorini i serbi? 20.000 li dettero ai greci quale riscatto della loro parte della chiesa quando le 2 comunità si separarono ed i greci l’usarono per comperare il terreno dove eressero la chiesa di S. Nicolò.
1771 – le beghe sui dazi finirono calando definitivamente i dazi al 3%, dicono alcuni studiosi mentre altri insistono sul 5%. Di fatto vigeva il 3% poichè nel 1784 anche il Sultano accettò il 3% per tutti i prodotti importati ed esportati. La bilancia pendeva a favore dell’Austria che importava il 25% del suo fabbisogno dalla Porta, mentre le esportazioni erano solo del quasi 15%.
Ma la corruzione era d’obbligo con gli orientali e continuava a primeggiare::
- un internunzio austriaco scrive al suo Nunzio apostolico nel 1780 che un triestino residente a Smirne, certo Curtovich commerciante in olio di oliva gli propose dei soldi per avere un “firmano” onde far forza sulla Porta per ottenere il permesso di esportare l’olio di oliva a Trieste. Questo Curtovich era Maksim uno dei fratelli di Jovo Kurtovich commerciante in Trieste ma con banco anche a Vienna, Praga ed Odessa.
L’internunzio commentò così: non avrebbe accettato i denari anche se era perfettamente aggiornato delle difficoltà e delle strettoie nelle quali il commercio austriaco nel Levante si doveva destreggiare.
1747 – accordo di Costantinopoli che conferma quanto stabilito nella pace di Belgrado del ‘39.
Giacomo Casanova venne spedito dal Doge a Trieste a spiare i traffici marittimi e ne fa una relazione nel 1752 che confermava che alcune spedizioni di olio per Venezia erano finite a Trieste ma che qui c’erano dei contraffattori di marchi per deviare i traffici veneziani a Trieste specialmente per le partite di olio di oliva dell’Arcipelago ( dell’Egeo allora ottomano ).
La questione doganale veniva a galla spesso ma le impennate dei dazi ottomani erano dovuti in gran parte alle condizioni disastrose che si trovavano i loro territori, l’Egitto era preda di colera e pestilenze con una certa frequenza, le parti interne dell’Anatolia versavano in condizioni di indigenza tragica e le malattie infettive facevano il resto.
Non mancavano truffe sulla provenienza dei prodotti levantini,, tanto che nel 1756 venne nominato un Ispettore della qualità delle merci importate dalla Porta levantina. Rilasciava un certificato valevole ovunque nell’Impero.
D’altra parte l’Impero abbisognava di entrate doganali e quindi la musica si ripeteva.
Trieste pullulava di varie etnie, nel 1751 si scriveva a Venezia che da noi c’erano: ebrei, luterani, calvinisti, greci scismatici (cioè cattolici), armeni, siriani ed egiziani (pochi) e qualche turco.
Molti di questi erano piccoli bottegai che vivevano nelle baracchette ( casotti de legno ) che di giorno diventavano botteghe dove si comperava: uva passa, formaggi, fichi, acque vite, papuze, pipe, ed altre cose minute mentre c’erano anche commercianti più in sella come ad es.: Pietro Cornialli (Cunial) e Franz Citter importatori di oli, sete, uva passa, formaggi salati.
1754 – A Vienna si fonda l’Accademia delle lingue orientali
1771 – l’Aulico Consiglio per il commercio adottò l’iniziativa di affiancare alle ditte commerciali di Trieste i diplomati di questa scuola ( del commercio ) per poi inviarli come corpo consolare nelle varie città commerciali del Mediterraneo orientale.
Vi pose mano a questa iniziativa politico-commerciale il ministro imperiale distaccato a Costantinopoli, Penkler che individuò le sedi fondamentali di questa scuola in: Durazzo, Patrasso, Salonicco, Smirne, Aleppo e Alessandria.
Dispacci sulla coltivazione del tabacco in Macedonia con campioni di foglie di tabacco provengono dal console di Salonicco Pietro Gamerra di origine toscana, da Smirne invece arrivano dal Hochpied resoconti vivaci delle battaglie marinare tra la flotta russa e quella turca, siamo nel 1770/72.
Caduta la temuta alleanza Turco-Prussiana nel 1774 si arriverà alla nuova pace con la Sublime Porta di Costantinopoli.
Finalmente la Turchia si tranquillizza definitivamente ed i traffici e la vita riprendono il loro giusto percorso.
La Compagnia d’Egitto fondata nel 1768 con socio l’armeno Giorgio Saraff suddito ottomano viene affiancata nel 1782 dalla Nuova compagnia d’Egitto con il capitale dei fratelli Rossetti ( triestini ) residenti al Cairo e dell’altro triestino Domenico Balletti ed il gran gabelliere - nostra vecchia conoscenza - Antonio Cassis Faraone affiancato dal siriano Zaccar.
Fallirono nel tentativo di ricevere la patente per la navigazione nel Mar Rosso che avrebbe aperto ai loro bastimenti i porti dell’India.
La Compagnia imperiale Asiatica di Trieste ed Anversa batteva già le rotte del Capo di Buona Speranza per l’Oriente.
La parificazione tra i turchi residenti e quelli in transito o che solo commerciavano con l’Impero a Trieste creava problemi doganali e di sicurezza. Vi si provvide con l’emissione di speciali certificati in copia che venivano periodicamente spediti a Vienna. Un lavoro lungo che rallentava i traffici e che rendeva poco. Finalmente nel 1768 entrò in vigore la parificazione tra tutti i turchi sul territorio austriaco ed in passaggio su di esso.
Nel 1771 finalmente il sistema dei dazi venne parificato per tutte le genti. Da questo anno abbiamo documenti scritti per la maggior parte in latino ma anche in cirillico arabo, armeno, greco ed ebraico. Sono provenienti dai territori dell’Impero Ottomano: greci, dell’Egeo, dalla Morea, dall’Edipo, illirici di Serbia, Bosnia e Montenegro, albanesi, ebrei, armeni, arabi di religione cristiana della Siria, Palestina e dell’Egitto.
1776 – a Salonicco apre una Casa di Commercio da parte di 2 austriaci, il conte Starhemberg ed il barone Gudenus che inizieranno a commerciare via mare con Trieste dove arrivava la lana della Macedonia destinata in Svizzera, nella Lombardia austriaca ed a Vienna..
A Vienna nel 1797 c’erano 37 negozianti greci di cotone, lane, pelli di cammello, ecc. tutti sudditi imperiali; altri 73 invece erano sudditi ottomani.
Con Giuseppe II i traffici aumentarono notevolmente anche se Venezia con la sue navi armate cercasse di interdire i nostri traffici marittimi, ma Venezia era oramai in piena decadenza
Nel 1787/8 ci fu un’ennesima guerra tra Russia e Austria contro la Porta. La temuta apparizione della flotta turca a Trieste venne scongiurata e a pace firmata Trieste si trovò inaspettatamente travolta e sommersa di lavoro portuale per la massa di prodotti orientali che arrivavano quotidianamente. Il conflitto ebbe termine nel 1792.
Un breve riassunto delle merci in arrivo ed i partenza dal nostro porto in quegli anni ci può immediatamente fornire un’idea dei volumi del crescente traffico marittimo.
Importazioni:
- cereali dove primeggiavano frumento e riso, caffè che arrivava dall’Arabia via Egitto, datteri egiziani e turchi, agrumi, vino, olio e olive, frutta secca d’ogni tipo, fichi, nocciole, mandorle, albicocche, cioè ermelini in triestin, piante esotiche per la cucina e la farmacia, lana grezza, filata anche in panni grezzi da cuocere per capotti militari, seta grezza, cera vergine dai Balcani e dall’Anatolia che veniva lavorata a Trieste per farne candele che venivano poi esportate, miele, gomma arabica, incenso, cuoio, ecc.
Per l’industria si importava rame dalla Bosnia, allume di rocca e vetriolo da Cipro,
Le esportazioni erano di gran lunga inferiori: legname in primis, tronchi da costruzione e tavole di vario spessore, rovere e legni di altri semi per costruire navi, tessuti dell’Austria e Boemia, cristalli della Boemia, tele stampate o ricamate, metalli semi lavorati, utensili di ferro ed acciaio dalla Stiria, oggetti in rame, piombo, ottone, chincaglierie e mercurio di Idria, carta, argento monetario, si usavano le monete di Maria Teresa, i Talleri, come valuta corrente. (( Li ho trattati in Yemen negli anni 1980, erano ancora validi e provenivano dall’Etiopia e Somalia )).
La piccola industria triestina era partecipe in queste esportazioni.
I collegamenti diretti con Trieste erano: Antivari e Durazzo in Albania, Missolungi, Patrasso, Canea, Salonicco e Alessandria, Smirne nell’ Anatolia, poche tratte erano su Costantinopoli. Altri piccoli porti dell’Adriatico e della Grecia erano parte del net work triestino.