“Da un occupante all’altro”: la lettura del Fronte della Primavera Triestina sul ritorno di Trieste all’Italia
Nel 71° anniversario del 26 ottobre 1954, data ricordata dalla storia ufficiale come il “ritorno di Trieste all’Italia”, il Fronte della Primavera Triestina ha diffuso una lunga nota in cui propone una lettura alternativa di quell’evento, definendolo non come una “liberazione” ma come “il passaggio da un’amministrazione straniera a un’altra”.
Nel documento, diffuso dal presidente Adam Bark, il movimento indipendentista sostiene che, da un punto di vista giuridico, “non si trattò di un ritorno della sovranità italiana sul Territorio Libero di Trieste, bensì di un cambio di amministrazione, concordato tra Italia, Stati Uniti e Regno Unito, con il subentro della Repubblica Italiana all’amministrazione anglo-americana della Zona A del Territorio Libero di Trieste”.
Secondo il Fronte della Primavera Triestina, quel passaggio avrebbe segnato “l’inizio di un lungo periodo di difficoltà economiche e sociali per la città”, legate a un presunto “piano di deindustrializzazione” e a “una perdita progressiva di autonomia economica e politica”. Il comunicato parla di “crisi e miseria” subentrate alla fase di sviluppo economico sostenuta dalle potenze alleate durante l’amministrazione angloamericana, sostenendo che “la chiusura dei finanziamenti internazionali portò a un drastico impoverimento del tessuto produttivo locale”.
Il gruppo evidenzia come, secondo la sua interpretazione storica, l’Italia avrebbe promosso politiche che avrebbero “modificato la composizione sociale e culturale di Trieste”, favorendo “l’immigrazione di cittadini da altre regioni italiane” e “la progressiva perdita delle peculiarità economiche e civiche della città”.
Nella stessa nota, il movimento cita anche momenti chiave della storia del Novecento triestino, come “le lotte dei fuochisti del 1902, le barricate di San Giacomo del 1920, la Resistenza antifascista e le grandi manifestazioni operaie del secondo dopoguerra”, sottolineando che “la chiusura del cantiere San Marco nel 1966 rappresentò l’ultimo colpo inferto alla classe lavoratrice triestina”.
Il Fronte della Primavera Triestina collega poi il 1954 all’attualità, sostenendo che “Trieste continua a essere un punto strategico per gli assetti militari internazionali” e che “la città è sempre più coinvolta nei piani di difesa e di riarmo della NATO”, in particolare citando il progetto del porto di Trieste come “snodo logistico strategico” e menzionando simbolicamente il varo della nave “Trieste” come “segno del legame tra la città e l’industria militare nazionale”.
Il comunicato prosegue affermando che “Trieste, pur privata nel tempo di parte della sua autonomia, conserva ancora un nucleo vivo della sua storica identità multiculturale e indipendente”, e invita a “riaprire un dibattito pubblico sulla validità giuridica del Territorio Libero di Trieste”, istituito con il Trattato di Pace del 1947 e mai formalmente abolito dalle Nazioni Unite.
Infine, il presidente del movimento Adam Bark chiude la nota con un appello “a tutte le realtà civiche e sociali che si riconoscono nella storia di Trieste e nei principi di indipendenza, neutralità e pace” a unirsi in un percorso di “rinascita politica e culturale”, affermando che “la difesa della dignità e della libertà del Territorio Libero spetta ai triestini stessi”.
Pur esprimendo una visione molto diversa da quella storica ufficiale, la posizione del Fronte della Primavera Triestina testimonia l’esistenza, ancora oggi, di una parte della società locale che continua a interrogarsi sull’identità giuridica e politica della città.
Il 26 ottobre resta così, a distanza di 71 anni, una data capace di suscitare emozioni, dibattiti e memorie contrapposte, in una Trieste che si conferma luogo di incontro e di pluralità di idee.
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