Team Vannacci Trieste sul nuovo reato di femminicidio: “Non servono aggravanti di genere”

Team Vannacci Trieste sul nuovo reato di femminicidio: “Non servono aggravanti di genere”

Nel dibattito acceso seguito al sì unanime della Camera che introduce il reato di femminicidio come norma specifica nel codice penale, arriva la posizione di Angelo Lippi, esponente del Team Vannacci – San Giusto. Una posizione espressa con toni misurati ma decisi, in cui Lippi afferma il massimo rispetto e solidarietà verso le donne vittime di violenza, pur sollevando forti dubbi sull’utilità e sulla legittimità del nuovo impianto normativo.

“Le pene già esistono: l’omicidio è punito fino all’ergastolo”

Lippi richiama anzitutto il perimetro normativo attuale, ricordando che il reato di omicidio (art. 575 c.p.) prevede già pene severissime, che possono arrivare all’ergastolo. A queste si aggiungono le aggravanti previste dalle norme sui maltrattamenti (art. 572) e sullo stalking (art. 612-bis), spesso presenti nei casi di violenza di genere.

Secondo Lippi, queste disposizioni sono già idonee a punire in modo efficace chi uccide una donna “in quanto donna”, senza necessità di un nuovo reato autonomo.

“Una distinzione basata sul sesso non è necessaria e crea disparità”

Il cuore della critica riguarda il principio di uguaglianza. Lippi sostiene che introdurre un’aggravante legata al genere della vittima rischia di creare una disparità sanzionatoria che non trova giustificazione nel quadro costituzionale:

“L’omicidio è l’omicidio. Non si può punire diversamente a seconda del sesso della persona uccisa. Il rischio è quello di una norma potenzialmente incostituzionale.”

Pur ribadendo il sostegno alle politiche di tutela delle donne e la condanna di ogni forma di violenza, denuncia il rischio che la nuova legge finisca per essere più simbolica che realmente utile nella prevenzione dei femminicidi.

“Solidarietà alle vittime, ma la norma non è la soluzione”

Nel concludere la sua analisi, Lippi sottolinea di non voler urtare la sensibilità delle donne né sminuire il fenomeno, ma contesta l’idea che una nuova definizione giuridica possa realmente migliorare la protezione: la priorità, a suo avviso, dovrebbe essere quella di far applicare con più rigore le norme già esistenti.