“Non la ricordavo così nemmeno da bambino”: il racconto di una Trieste piena, viva, accesa
Trieste piena come non mai, viva, attraversata da una folla compatta e continua.
È l’immagine che emerge dalla segnalazione di un cittadino che sabato scorso si è ritrovato a passeggiare per il centro, trovandosi davanti a uno scenario che, a suo dire, non ricordava nemmeno dall’infanzia.
Negozi affollati, bar e pasticcerie con i tavolini pieni, ristoranti colmi, persone ovunque. Una vera fiumana umana, capace di restituire l’idea di una città che pulsa, che respira, che si muove. Un colpo d’occhio che colpisce, soprattutto per chi Trieste la conosce da sempre e l’ha vista attraversare stagioni molto diverse.
“Non ricordo, se non forse quando ero bambino, una Trieste così ricca e viva”, scrive il lettore. Una frase che pesa, perché arriva da chi osserva con attenzione, non da chi cerca slogan.
Luci misurate, ma di grande effetto
A colpire non è solo la quantità di persone, ma anche l’atmosfera. Le luci natalizie vengono descritte come non eccessive, ma studiate, eleganti, capaci di valorizzare la bellezza naturale della città senza trasformarla in una caricatura. Un equilibrio raro, che contribuisce a rendere il centro accogliente e riconoscibile, senza snaturarne l’identità.
È proprio in questo contesto che nasce una riflessione più ampia. Il lettore si chiede come sia possibile continuare a parlare di immobilismo, citando come esempi il Tram di Opicina o l’ovovia, quando davanti agli occhi si ha uno spettacolo urbano così evidente.
Tra brontolio e realtà
Il cittadino non nasconde una certa ironia, ricordando come il triestino medio sia storicamente noto per il suo carattere poco ottimista e incline al brontolio. Un tratto che, racconta, può confermare anche da forlivese. Eppure, davanti a una città così animata, come si fa a non riconoscere che qualcosa è cambiato?
Non si tratta di negare i problemi, ma di guardare la realtà per quella che è. Una realtà fatta di presenze, movimento, attrattività.
Industria e limiti storici: una verità scomoda
Il lettore affronta anche un tema delicato, quello industriale. Ammette senza esitazioni che Trieste, sotto quel profilo, è vicina a un “elettroencefalogramma piatto”. Ma aggiunge subito una considerazione storica: Trieste non è e non sarà mai una città industriale, e non per mancanza di volontà.
Secondo la sua analisi, la firma del Trattato di Osimo e le scelte politiche dell’epoca hanno privato la città di un territorio adeguato per un vero sviluppo industriale, chiudendo di fatto quella strada. Una condizione strutturale, non contingente.
La svolta turistica come scelta obbligata
È qui che entra in gioco il giudizio sull’amministrazione. Il lettore riconosce al sindaco Roberto Dipiazza molti difetti: un linguaggio spesso sopra le righe, uscite che un politico più attento eviterebbe. Ma gli attribuisce anche un merito chiaro: aver capito che insistere sull’industria sarebbe stato inutile, scegliendo invece di puntare con decisione sul turismo.
Una scelta non facile, osteggiata per anni da una lunga serie di “no se pol”, ma che oggi, secondo chi scrive, mostra i suoi frutti.
Una città che vive, finalmente
Il risultato, agli occhi del cittadino, è una Trieste finalmente viva. Non perfetta, non priva di problemi, ma attraversata da energia, persone, relazioni. Una città che attrae, che funziona, che sorprende anche chi la conosce bene.
Una segnalazione che non è un’ode acritica, ma una riflessione lucida: riconoscere ciò che funziona non significa chiudere gli occhi su ciò che manca, ma partire dalla realtà per discutere il futuro con onestà.