Lo sfogo di una badante triestina: “Senza stipendio perché malata, e nessuno mi tutela”
Una storia che lascia senza parole, quella raccontata a Trieste Cafe da una badante triestina che, per motivi di privacy, ha chiesto di restare anonima. Un racconto che svela una realtà fatta di sacrifici, ingiustizie e norme contraddittorie, nel silenzio delle istituzioni.
“Mi rivolgo a voi — scrive la donna — per segnalare la situazione a dir poco paradossale in cui mi trovo”. Dopo oltre 14 anni dal conseguimento del titolo di Operatrice Socio Sanitaria (OSS), la donna, madre single, si è vista costretta ad accettare un impiego come badante per conciliare lavoro e maternità, scegliendo un orario diurno compatibile con la presenza del figlio minorenne.
Tre anni fa l’inizio dell’impiego presso una famiglia triestina: “Assistenza diurna a una signora disabile presso il suo domicilio. Pensavo fosse un lavoro semplice, invece mi sono ritrovata a dover badare a due persone ultraottantenni, venendo pagata per una sola”.
Pagata meno di 8 euro l’ora e costretta a fare da OSS
La donna racconta di essere rimasta al servizio anche dopo il decesso del marito dell’assistita, passando formalmente sotto contratto con la figlia. “La paga è di meno di 8 euro l’ora, e di questi il 23% va in tasse, di tasca mia! Sono assunta come badante, ma svolgo di fatto il lavoro di un OSS: mi occupo della casa, della signora, della gestione sanitaria, dei medici, degli infermieri e persino del controllo dei presidi”.
Una vita di dedizione e lavoro logorante, resa ancora più difficile da insulti e maltrattamenti da parte della persona assistita, affetta da Alzheimer. “La signora necessita di cure costanti, cambi, movimentazione, assistenza ai pasti. Ho iniziato ad avere problemi alla schiena, dolori sempre più forti, finché non mi sono trovata bloccata”.
La malattia e la scoperta amara: niente stipendio
La donna, seguita dal medico, viene messa in malattia e sottoposta a cure. Ma dopo dieci giorni arriva la notizia che la lascia sconvolta: “Non riceverò più lo stipendio”.
Cerca informazioni, contatta il sindacato, e scopre un’amara verità: il contratto nazionale delle badanti prevede solo dieci giorni di malattia retribuita in un anno, se si è assunti da 6 a 24 mesi, con un massimo di 45 giorni di conservazione del posto di lavoro. Dopo questo periodo, il datore può procedere al licenziamento.
“Mi chiedo — scrive con amarezza — come posso vivere, pagare affitto, bollette e medicine se non ricevo il salario? Com’è possibile che, pur pagando i contributi e versando all’Inps, non abbia diritto a essere retribuita durante la malattia? E perché nessuno lo dice quando si firma il contratto?”
Un sistema che punisce chi si ammala
La badante oggi è ferma da venti giorni, costretta a sostenere spese mediche e cure a pagamento, mentre la guarigione richiederà tempi più lunghi del limite previsto dal contratto. Rischia di perdere il lavoro e non sa neppure se potrà accedere alla NASpI, l’indennità di disoccupazione.
“Ci si lamenta della carenza di badanti, ma come può una persona accettare condizioni simili? Se le cose non cambiano — conclude — ci saranno sempre meno lavoratori disposti a prendersi cura degli anziani. Le famiglie saranno costrette a rivolgersi a case di riposo, ma con costi insostenibili e posti limitati”.
Un grido che chiede ascolto
La testimonianza di questa lavoratrice non è solo un racconto individuale, ma una denuncia collettiva. Un grido che chiede attenzione verso chi, con fatica e dedizione, svolge un lavoro essenziale per la società, ma resta spesso invisibile e privo di tutele.
Una storia che Trieste Cafe raccoglie e rilancia affinché possa arrivare alle orecchie di chi ha il potere di cambiare le cose.
foto sebastiano visintin