Corsa della Bora, la sfida che accende Trieste d’inverno: lo sport che diventa identità di città (VIDEO)

Corsa della Bora, la sfida che accende Trieste d’inverno: lo sport che diventa identità di città (VIDEO)

La bora non si discute, si attraversa. E proprio lì, dove il vento cambia l’umore del mare e il Carso diventa una mappa di sfide, Trieste ha costruito negli anni un evento che non assomiglia a nessun altro. È questo il cuore della conversazione con Tommaso De Mottoni, presidente della Corsa della Bora, ospite in diretta dalla pista di pattinaggio con Trieste Cafe. A condurre l’intervista è Andrea Pastine, che ha accompagnato il racconto di un appuntamento sportivo ormai diventato simbolo cittadino, capace di trasformare inverno, maltempo e confine in una firma riconoscibile al primo sguardo.

quando si è capito che non era “una corsa come le altre”
De Mottoni lo dice con chiarezza: la Corsa della Bora è nata per essere diversa. L’idea di mettere al centro gennaio, il periodo in cui “normalmente non si gareggia”, è stata una scelta identitaria prima ancora che sportiva. Dove altri vedevano una stagione morta, l’evento ha trovato la sua ragione di vita. E così, mentre tanti atleti sostenevano che in inverno “si smette di correre”, la Bora ha capovolto la prospettiva e ha fatto del freddo e del vento una componente della sfida, non un ostacolo da evitare.

Il messaggio è quasi provocatorio: a volte è più semplice vestirsi e spogliarsi che correre “con un condizionatore nello zaino”. L’inverno, per la corsa in natura, può essere perfino più sensato del caldo. E se il vento alza la posta, tanto meglio: è lì che la gara prende carattere.

dal rito per pochi all’evento per tutti: distanze accessibili e spirito giusto
Nata come appuntamento per atleti d’élite, la manifestazione è cresciuta in dieci anni fino a diventare un evento aperto anche a chi non è “nato sportivo”, con distanze più accessibili e un’idea precisa di fondo: la Corsa della Bora non vuole essere solo una prova di velocità. Vuole sviluppare relazione con l’ambiente, relazione con la corsa, relazione con il territorio. È qui che lo sport diventa identità: non nella prestazione, ma nel modo in cui si attraversa un luogo.

E l’invito a chi è all’inizio è netto, senza retorica: si parte per gradi. Non si inizia con i 100 chilometri. Si sceglie una distanza breve, si impara il mondo dei sentieri, si capisce la natura con rispetto, e solo dopo, eventualmente, si alza l’asticella.

sicurezza: la regola è un comportamento, non un foglio da firmare
Quando Pastine porta il tema sulla sicurezza, De Mottoni sposta subito il focus: in eventi come questo non esistono solo “regole”, esiste soprattutto un protocollo di comportamento. Ed è un punto chiave perché la corsa diventa anche scuola di consapevolezza. Chi partecipa legge il regolamento, rispetta materiale obbligatorio, ascolta i consigli. E quei consigli dovrebbero poi uscire dalla gara e diventare abitudine.

Il presidente lo sintetizza in una serie di gesti concreti che valgono per chiunque vada in natura: portare il telefono senza sprecarne la batteria, avere almeno acqua o cibo, avere nello zaino un capo più pesante. L’evento sportivo, sostiene, è spesso più sicuro di ciò che accade fuori dall’evento, perché i soccorsi e l’organizzazione sono pronti, i controlli esistono, la rete è già attiva.

volontari, comunelle e la festa che resiste: dietro le quinte c’è una città intera
Se la Corsa della Bora è diventata un simbolo, è anche perché dietro c’è una macchina organizzativa che non si ferma mai. De Mottoni racconta una pianificazione pluriennale che va oltre l’edizione imminente. Mentre ci si avvicina all’appuntamento del 4 gennaio 2026, l’organizzazione sta già disegnando i percorsi del 2027. È un processo continuo, un laboratorio che lavora sempre.

E in quel laboratorio contano soprattutto i volontari. Centinaia. Associazioni, protezione civile, realtà legate alle forze dell’ordine, comunità locali italiane e slovene, comunelle del Carso. Una sinergia che, spiega, si costruisce nel tempo e si regge sulla concertazione.

Ma la parte più viva del racconto arriva quando De Mottoni parla della fatica più grande: trovare ricambio, trovare giovani disponibili al servizio e all’assistenza. Non è scontato oggi. E proprio per questo diventano preziose le comunelle, soprattutto quelle carsoline e slovene, dove lo spirito di comunità resiste e i ragazzi partecipano con energia.

L’esempio che resta negli occhi è quello di Bagnoli: giovani volontari che gestiscono un ristoro notturno per la 100 km, accogliendo corridori infreddoliti dalle 3 alle 9 del mattino con un’atmosfera festosa, pizza e perfino birra. Un after hour del Carso, dove la fatica diventa festa e l’arrivo diventa abbraccio.

trieste di confine, evento transfrontaliero: “non c’è vento che unisca di più”
Trieste è città di vento e città di confine. De Mottoni gioca con l’ironia triestina, con quel “non se pol” che spesso precede ogni idea nuova. Ma rivendica il ribaltamento: la Corsa della Bora ha dimostrato che Trieste è anche la città del “se pol”.

E poi racconta la dimensione che rende la manifestazione davvero unica: la vocazione transfrontaliera. Edizioni che hanno attraversato territori oltre i confini, percorsi che hanno unito comunità diverse, esperienze che hanno messo in rete l’Alpe Adria. Lingue che si mescolano, provenienze da decine di nazioni, una partecipazione internazionale in crescita.

Non è solo attraversare i luoghi: è coinvolgere le comunità locali, le associazioni, i paesi, i borghi. È qui che l’evento si fa simbolo: perché unisce.

il futuro? non esiste “maturità”: l’evento deve restare vivo e imperfetto
Alla domanda sul futuro, De Mottoni risponde con una filosofia che suona come un manifesto: la Corsa della Bora non vuole mai raggiungere una fase di maturità definitiva. Deve restare in evoluzione. Ogni anno percorsi diversi, logistiche nuove, e sì, anche il rischio di piccoli errori. Ma è proprio questo, sostiene, che mantiene l’evento vivo. Quando tutto è uguale, quando si fa sempre lo stesso percorso, quando si ripete lo stesso copione, l’evento diventa “morto”.

La Bora invece si rinnova, cambia, riparte quasi da zero. E cresce proprio perché non si accontenta.

un invito a chi non ha mai corso: camminare, respirare, vivere l’atmosfera
L’ultima parte è un invito che spiazza per semplicità: “la corsa è una camminata che diventa sempre più veloce”. In natura spesso ha più successo chi arriva dalla camminata, non chi corre forte su strada e si butta sui sentieri. Quindi l’approccio migliore è godersela: paesaggio, foto, ristori, tempi personali.

E i ristori, nella Bora, non sono un dettaglio: oltre agli integratori, c’è cibo vero, dalla pizza alla salsiccia, con tappe che diventano piccoli mondi di comunità, come l’osmizza di Medeazza, dove l’atmosfera è parte integrante della prova.

qualità, non quantità: la bora cerca lo spirito giusto
A chiusura De Mottoni chiarisce l’ultima cosa, forse la più importante: la manifestazione ha numeri importanti, ma è a numero chiuso. Non cerca quantità. Cerca qualità. E qualità non significa “i più veloci”. Significa chi porta lo spirito giusto. Quello di chi entra nel vento con rispetto, nel Carso con attenzione, e in Trieste con la voglia di viverla davvero.

DI SEGUITO IL VIDEO

RIPRODUZIONE RISERVATA

Guarda il video

IL VIDEO