Allarme caldo in carcere a Trieste: il Garante dei detenuti denuncia il rischio per la salute
Con l’arrivo dell’estate e l’innalzarsi delle temperature, torna al centro dell’attenzione la condizione del carcere di Trieste, una struttura che – come evidenziato dal Garante comunale dei diritti delle persone detenute, Elisabetta Burla – si trova a fronteggiare le conseguenze dirette del cambiamento climatico in assenza di strumenti adeguati per la tutela della salute di chi vi risiede e lavora.
In una comunicazione ufficiale, Burla ha richiamato i risultati di una recente ricerca condotta dal CNR-Ibe in collaborazione con ISPRA, che inserisce Trieste tra i capoluoghi più colpiti dal fenomeno delle “isole di calore urbane”, ovvero aree dove l’accumulo di calore da parte di superfici artificiali genera temperature significativamente più elevate rispetto al resto della città. Una tendenza confermata anche dai bollettini del Ministero della Salute, che in questi giorni segnalano Trieste tra i territori soggetti ad ondate di calore prolungate, con gravi rischi per la popolazione.
Situazione critica all’interno del carcere: 238 detenuti in uno spazio previsto per 135
Il penitenziario di Trieste, strutturalmente privo di aree verdi e ventilazione naturale sufficiente, registra un sovraffollamento significativo, ospitando 238 persone a fronte di una capienza regolamentare di 135. In queste condizioni, le alte temperature rischiano di trasformare le celle in ambienti insalubri, incompatibili con la dignità e la sicurezza. Una criticità che riguarda tanto le persone detenute quanto gli operatori della struttura, inclusa la polizia penitenziaria.
Ventilatori solo grazie al volontariato: il Garante denuncia l’assenza di interventi strutturali
Nonostante le ripetute segnalazioni, non risultano stanziamenti ministeriali per l’installazione di sistemi di climatizzazione all’interno dell’Istituto. L’unica possibilità, finora, è stata l’acquisizione di ventilatori attraverso donazioni del volontariato, evidenziando ancora una volta la dipendenza da iniziative esterne per la garanzia di condizioni minime di vivibilità.
Anche la recente ordinanza della Regione Friuli Venezia Giulia, che prevede la sospensione del lavoro dalle 12.30 alle 16.00 per i lavoratori esposti a calore elevato, non può essere applicata in modo diretto nelle strutture pubbliche come le carceri. Tuttavia, secondo il Garante, è doveroso adottare misure organizzative interne che limitino l’esposizione al caldo nei reparti e negli spazi comuni.
Un appello alla responsabilità collettiva: prevenire prima che sia troppo tardi
“Anche in questa torrida estate – afferma Elisabetta Burla – le condizioni interne alle carceri vengono ignorate. Il caldo torrido non fa notizia. Il sovraffollamento neppure. Speriamo non vi siano decessi, perché questo si desta curiosità”.
Un monito chiaro, che invita a non aspettare che sia troppo tardi per intervenire. L’auspicio è che il rispetto dei diritti fondamentali e della salute delle persone detenute venga considerato parte integrante delle politiche pubbliche, nel segno della civiltà giuridica e del benessere collettivo.