Una triestina in Sicilia, intolleranze e ristorazione, due realtà a confronto

Una triestina in Sicilia, intolleranze e ristorazione, due realtà a confronto

La Sicilia è conosciuta non solo per la bellezza dei paesaggi, ma anche per la ricchezza della tradizione gastronomica, che si accompagna a una grande attenzione verso chi convive con intolleranze alimentari o con la celiachia. Un dettaglio che potrebbe sembrare scontato, ma che per molte persone rappresenta un valore aggiunto significativo.

Ciò che colpisce, è la capacità di accogliere ogni ospite, senza farlo sentire diverso o fuori luogo. Nei ristoranti, nei piccoli bar e nelle pasticcerie le opzioni vegane, senza lattosio o senza glutine non solo sono presenti, ma vengono proposte con semplicità e disponibilità.

Facendo un giro per la città di Trieste si evidenzierebbe una situazione diversa. Qui come in molte altre realtà italiane, l'offerta per intolleranti e celiaci appare ancora ridotta e discontinua. Non mancano esempi virtuosi, alcune pasticcerie, gelaterie e locali nostrani attente a queste esigenze, ma si tratterebbe di casi isolati non ancora rappresentativi di una sensibilità diffusa.

Se per i celiaci l'attenzione sarebbe cresciuta negli anni, chi è intollerante al lattosio continuerebbe a trovarsi con poche alternative: pizze senza mozzarella (che per un italiano può sembrare quasi un sacrilegio), piatti di pasta semplici o menu privi di variazioni. Capita spesso che richieste come quella di una mozzarella senza lattosio o di una bevanda vegetale vengano accolte con perplessità o con reazioni non del tutto positive.

Le cause di questa differenza potrebbero essere diverse. Da un lato, i ristoratori dovrebbero fare i conti con i costi: l'acquisto di prodotti specifici o, nel caso del senza glutine, l'investimento in forni separati comporterebbe una spesa non indifferente. In assenza di una forte domanda il rischio sarebbe quello di sprecare risorse e dover buttare via i prodotti invenduti.

Dall'altro lato entrerebbe in gioco anche un fattore culturale. In alcune zone del Sud Italia sembrerebbe esserci una maggiore richiesta e, di conseguenza, i ristoratori si sarebbero abituati ad adattarsi alle esigenze dei clienti.

Una proposta interessante per il nostro territorio, che potrebbe essere un compromesso tra il ristoratore e una persona intollerante, sarebbe quella di un servizio “su richiesta”. Questa possibilità, va precisato, sarebbe realizzabile soltanto per persone intolleranti al lattosio che non riguardino la celiachia o altre allergie. Per i celiaci, infatti la normativa e le esigenze igieniche richiedono cucine separate e forni dedicati, investimenti complessi che non sempre sono a sostenibili per tutti i ristoratori.

Nel caso dell'intolleranza al latte, invece, un sistema “su richiesta” sarebbe più semplice da attuare: i clienti, informando il locale al momento della prenotazione, permetterebbero ai ristoratori di procurarsi i prodotti necessari senza doverli mantenere costantemente a disposizione, riducendo così il rischio di sprechi. Naturalmente resterebbe fondamentale prestare attenzione alle contaminazioni, ma una cucina organizzata e attenta potrebbe garantire comunque la sicurezza dei piatti preparati.

Il cibo è, prima di tutto, convivialità e inclusione. Se anche realtà più piccole riescono a garantire attenzione a intolleranti e ai celiaci, una città come Trieste ricca di turismo potrebbe seguire questo esempio. Non si tratterebbe di un obbligo, ma di una scelta di apertura: un modo per trasformare l'esperienza a tavola in un'occasione di accoglienza per tutti, senza lasciare nessuno indietro.

Riproduzione riservata