Legalità e migranti a Trieste, Schiavone attacca: «la vera illegalità è l’abbandono in strada» (VIDEO)

Legalità e migranti a Trieste, Schiavone attacca: «la vera illegalità è l’abbandono in strada» (VIDEO)

Nel suo intervento, il presidente di ICS Gianfranco Schiavone parte dagli avvenimenti accaduti nel porto di Trieste negli ultimi giorni. Il riferimento è al trasferimento solo parziale dei migranti dall’area del porto vecchio, un’operazione che, secondo la sua ricostruzione, ha lasciato comunque in strada probabilmente oltre un centinaio di persone, e al ritrovamento del corpo senza vita di un giovane straniero in uno dei magazzini abbandonati della stessa zona. È su questo scenario che Schiavone legge e commenta le dichiarazioni del presidente della Regione, Massimiliano Fedriga, pubblicate sui media locali del 5 dicembre.

Fedriga, di fronte alla situazione del porto, ha parlato di problemi di sicurezza e di problemi nel garantire la legalità, affermando che «la legalità non è un’opinione». Parole che Schiavone giudica, in linea di principio, condivisibili: garantire la legalità, sottolinea, è un obiettivo che nessuno mette in discussione. Proprio per questo, però, invita ad andare a vedere nel dettaglio in cosa consisterebbe, sul piano giuridico, questa legalità violata.

«È illegale abbandonare i richiedenti asilo in strada»: il richiamo al decreto 142/2015
Per Schiavone la prima violazione è quella che riguarda i richiedenti asilo. Richiama l’articolo 1, terzo comma, del decreto legislativo 142/2015, norma che deriva direttamente dal diritto dell’Unione europea. Questa disposizione, ricorda, impone alla pubblica amministrazione – in questo caso prefettura e Ministero dell’Interno – di collocare i richiedenti asilo privi di mezzi di sostentamento nell’immediatezza, cioè nel momento stesso in cui manifestano la volontà di chiedere protezione internazionale.

Non si tratta, precisa, di attendere che la domanda venga accolta, né che venga formalmente registrata, ma di riconoscere che dal momento in cui una persona dichiara di voler chiedere asilo è in condizione di pericolo e lo Stato ha l’obbligo di occuparsene. A Trieste, invece, secondo Schiavone, da anni i richiedenti asilo attendono settimane o mesi prima di entrare nel sistema di accoglienza, restando nel frattempo totalmente abbandonati in strada.

Nell’ultimo periodo, la stima che propone parla mediamente di 200–250 persone senza alcuna sistemazione. I 155 prelevati nell’operazione recente sono, nella sua visione, solo una parte del problema: almeno un centinaio di migranti sarebbero tornati a dormire nei magazzini abbandonati del porto vecchio. È questo, insiste, il cuore dell’illegalità, perché contrasta con obblighi precisi fissati dal diritto europeo e nazionale.

Domande d’asilo rinviate e condizioni igieniche disastrose: le omissioni contestate
Un secondo profilo di illegittimità, per Schiavone, riguarda la mancata registrazione tempestiva delle domande d’asilo. È illegale, sostiene, non procedere alla registrazione appena la persona manifesta la volontà di chiedere protezione internazionale, rinviando l’appuntamento “sine die” per settimane e lasciando nel frattempo i migranti in strada. Ancora più grave, a suo giudizio, è la pratica di chiedere requisiti che la normativa non prevede, con l’obiettivo di scoraggiare l’esercizio del diritto di chiedere asilo.

Accanto a questo, Schiavone definisce illegale non occuparsi delle spaventose condizioni igienico-sanitarie in cui versano le persone abbandonate all’aperto o nei magazzini, chiamando in causa non solo la prefettura ma l’insieme dei soggetti istituzionali coinvolti. L’immagine che restituisce è quella di una lunga serie di condotte omissive da parte della pubblica amministrazione, che non rispetterebbero i parametri minimi imposti dalla legge per la tutela dei richiedenti asilo.

Il ruolo della Regione e il principio di leale collaborazione
Schiavone affronta anche il tema delle competenze regionali. Riconosce che la Regione Friuli Venezia Giulia non ha una competenza diretta nella gestione dell’accoglienza dei richiedenti asilo, ma richiama il principio della leale collaborazione tra poteri dello Stato. Secondo questa impostazione, davanti a un fenomeno che diventa macroscopico e duraturo, come quello che da anni interessa l’area del porto di Trieste, la Regione non può limitarsi a chiamarsi fuori.

Considera dunque illecito, sul piano dei doveri istituzionali, che la Regione non collabori e non si adoperi insieme alle altre istituzioni nel reperire soluzioni temporanee per affrontare l’emergenza. Non si tratta, nella sua lettura, di sostituirsi alla prefettura o al Ministero, ma di contribuire attivamente alla ricerca di risposte, in coerenza con il quadro costituzionale e con il ruolo che la Regione riveste.

Occupazione di magazzini e “stato di necessità”: la risposta all’accusa di illegalità
Di fronte alle parole di Fedriga sulla legalità, Schiavone ribalta il punto di vista. Sì, ammette, in questa situazione c’è molta illegalità, ma al momento sembra legata soprattutto alle condotte omissive delle istituzioni. Nelle dichiarazioni del presidente della Regione, invece, l’attenzione è rivolta quasi esclusivamente alla presunta illegalità dell’occupazione abusiva degli spazi del porto da parte dei migranti.

Su questo punto, Schiavone risponde richiamando l’articolo 54 del codice penale, quello sullo stato di necessità. L’occupazione di spazi abbandonati può astrattamente configurare un’ipotesi di reato, riconosce, ma non nelle situazioni in cui a farlo sono persone i cui diritti fondamentali sono stati violati e che cercano solo un riparo minimo per la notte. In queste condizioni, ribadisce, il diritto penale italiano prevede la non punibilità di chi agisce per necessità. Per questo invita esplicitamente il presidente Fedriga ad andare a leggere l’articolo 54.

L’idea di fondo è che non si possa equiparare a una comune occupazione abusiva il comportamento di chi, abbandonato dalle istituzioni, si rifugia in un magazzino per sottrarsi al freddo e alla strada. La cornice giuridica, insiste, è profondamente diversa quando entra in gioco lo stato di necessità.

Legalità, parole e menzogna politica: il richiamo a Hannah Arendt
Nella parte conclusiva del suo intervento, Schiavone allarga il ragionamento dal piano strettamente giuridico a quello politico e culturale. Sostiene che non si può “giocare con le parole”, stravolgere i significati e piegare concetti come quello di legalità ai propri fini politici. Quando si presenta come “illegalità” soltanto l’occupazione dei magazzini, ignorando – nella sua lettura – le violazioni commesse dalle istituzioni stesse, si compie una manipolazione del discorso pubblico.

Per spiegare questo rischio cita Hannah Arendt, ricordando come la filosofa abbia analizzato il ruolo della menzogna in politica. Nelle sue opere, ricorda Schiavone, Arendt sottolinea che la menzogna è una strategia tipica dei regimi totalitari o di quelli che aspirano a diventarlo, perché rende le persone incapaci di pensare criticamente, di distinguere tra ciò che è vero e ciò che non lo è, tra ciò che è bene e ciò che è male. In questo vuoto di discernimento, si apre la strada a quella che Arendt ha definito la “banalità del male”.

È proprio questo, conclude Schiavone, il pericolo che si intravede quando concetti come legalità, sicurezza e diritti fondamentali vengono usati in modo selettivo, enfatizzando la condotta degli ultimi della fila e passando sotto silenzio, o minimizzando, le responsabilità delle istituzioni chiamate a garantire le norme che esse stesse invocano.

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