Giallo di Garlasco, la fuga e il cancelletto chiuso: le domande ancora aperte su Alberto Stasi
Nuovi interrogativi sul delitto di Garlasco emergono dal focus di Quarto Grado, in onda su Rete 4 e condotto da Gianluigi Nuzzi. Al centro dell’approfondimento, le fasi immediatamente successive alla scoperta del corpo di Chiara Poggi, uccisa nella sua villetta il 13 agosto 2007. Una ricostruzione che solleva ancora dubbi sul comportamento di Alberto Stasi, all’epoca fidanzato della vittima e poi condannato in via definitiva a 16 anni per omicidio volontario.
Il racconto di Stasi e i punti che non tornano
Secondo quanto riferito dallo stesso Stasi nel verbale rilasciato ai Carabinieri, quella mattina si era recato a casa di Chiara dopo ripetute telefonate andate a vuoto. Giunto davanti alla villetta, aveva notato la finestra della cucina aperta e il sistema di allarme disattivato. Dopo aver chiamato nuovamente senza ricevere risposta, aveva deciso di scavalcare il muro di cinta, passando vicino a un cancelletto laterale.
Una volta all’interno, riferisce di aver visto la televisione accesa e, nei pressi della cucina, alcune tracce di sangue. Proseguendo, avrebbe poi trovato Chiara riversa sulle scale che portano alla cantina, ma senza avvicinarsi o verificarne le condizioni. “Ho fatto uno o due gradini, poi sono scappato via”, ha dichiarato. Nessuna chiamata immediata ai soccorsi da parte sua, nessun tentativo di rianimazione. Solo successivamente, fuori dall’abitazione, avrebbe contattato il 118 affermando: “Credo che abbiano ucciso una persona. Forse è ancora viva”.
Il gesto che fa discutere: il cancelletto chiuso
Uno degli aspetti più controversi riguarda la decisione di Stasi di chiudere il cancelletto pedonale prima di allontanarsi dalla casa. Un comportamento che, secondo gli esperti intervistati nel programma, risulterebbe incompatibile con una reazione istintiva di chi si trova di fronte a una scena tanto scioccante. “Perché ostacolare l’accesso ai soccorsi in un momento tanto critico?”, si chiedono i cronisti. Il dettaglio, contenuto anche nel verbale delle 23:45 dello stesso giorno, ha alimentato i sospetti già da tempo.
Psichiatria forense: “Mancata reazione attesa”
Il programma ha riportato anche il parere di esperti in psichiatria forense: il comportamento di Stasi non rientrerebbe nella cosiddetta “reazione attesa” in caso di scoperta di una persona cara in condizioni critiche. “Ci saremmo aspettati che si fosse avvicinato al corpo, che avesse prestato soccorso, che avesse chiamato immediatamente il 118 e fosse rimasto all’interno”, hanno commentato.
Anche la comunicazione al telefono con il centralino sanitario lascia perplessi: Stasi continua a esprimere dubbi sull’effettivo stato della fidanzata (“forse è ancora viva”), nonostante – come dichiarato ai Carabinieri – avesse già intuito la gravità della situazione. Un contrasto che, secondo la sentenza di condanna, rientrerebbe nel quadro di un tentativo di depistaggio.
Depistaggio o paura? Le parole pesano
Durante il processo, i Carabinieri testimoniarono che, all’inizio, Stasi lasciava intendere di ignorare se Chiara fosse viva o morta, ipotizzando addirittura un incidente domestico. Tuttavia, lo stesso Stasi affermò di aver aperto la porta a libro che dava sulla scala, dettaglio incompatibile con l’ipotesi di una caduta accidentale, dato che la porta sarebbe stata già aperta nel caso.
Il servizio di Quarto Grado ha riacceso l’attenzione su quei passaggi ancora poco chiari, sottolineando come alcuni comportamenti dell’allora fidanzato siano apparsi più affini a quelli di un “aggressore” che non a quelli di un “soccorritore”. Il cancelletto chiuso, la fuga, la telefonata incerta: ogni dettaglio contribuisce a una narrazione che, a distanza di anni, continua a dividere l’opinione pubblica.